Rotta

domenica 4 ottobre 2015

A voi la parola - Il Paese dell'Amore, della Passione e delle Fate (Focus On Dressrosa)


In questo appuntamento domenicale di “A voi la parola” ospitiamo un utente che, conclusa la saga di Dressrosa, ci tiene particolarmente a dire la propria dopo aver sentito per due lunghissimi anni ogni genere di critica (positiva e negativa) sulla saga che ha come villain il Demone Celeste. L’utente preferisce rimanere anonimo, ma potrete rivolgervi a lui con il nick di Mister D.
Non ho intaccato minimamente il testo di Mister D. Quanto leggerete di seguito sono sue personali considerazioni.


IL VERO È L’INTERO


Ho da poco concluso la mia rilettura completa di Dressrosa e ne sono rimasto sorpreso, tanto che ho deciso di scrivere questo focus on, in cui cercherò di darne un giudizio generale il più obiettivo possibile, delineandone gli aspetti principali.

Prima di cominciare l’analisi vera e propria, tuttavia, vorrei porre l’accento su un discorso che mi ronza in testa da circa... Scusate, quando è iniziata Dressrosa? Quasi tutti voi (e ovviamente non mi riferisco solo a chi leggerà questo articolo, ma a tutto il fandom di ONE PIECE) in questi ultimi due anni e mezzo di pubblicazione avete espresso una marea di giudizi su Dressrosa, pareri che a ogni capitolo più o meno godibile si sono modificati e trasformati, alcune volte variando di poco e altre diametralmente.
Avete prima esaltato, poi spalato merda, poi di nuovo esaltato e ancora spalato merda, blaterando per tutto il tempo basandovi al massimo sulle ultime due settimane di pubblicazione e senza tener presente né come le tempistiche di una lettura del genere variano la percezione della storia né soprattutto il contesto globale di ciò che stavate leggendo, cosa che alla fine della fiera ha portato lo sterco (purtroppo, considerando che seguire un manga dovrebbe essere un piacere, ancor di più se a capitoli settimanali) a essere dieci volte più presente rispetto all’esaltazione: “eh, ma Dressrosa è lenta”, “eh, ma Dressrosa è lunga, è infinita”, “eh, ma Dressrosa è piena di forzature”, “eh, ma non succede niente”, “eh, ma è piena di riempitivi”, “eh, ma fa schifo”... Un chiacchiericcio noioso e insopportabile, che se vi foste risparmiati forse sarebbe stato meglio per tutti, soprattutto per chi la saga l’ha seguita seriamente e con un minimo di cognizione di causa e imparzialità.

Bene, visto che avete blaterato, blaterato e blaterato quando ancora non aveva senso dire nulla di definitivo presumo ora abbiate la gola troppo secca per parlare e le dita doloranti per scrivere (e lo spero, perché davvero, di continuare a sentire certe cose da far accapponare la pelle non mi va più).

Per questo motivo ora esprimersi tocca a chi come me ha atteso pazientemente, a noi che fino a qui ce ne siamo stati zitti e in disparte a seguire l’evolversi degli avvenimenti, al massimo dando idee sulla qualità dei singoli capitoli, ma sempre premettendo che fossero pareri dettati dalla lettura settimanale, quindi provvisori, mutabili quando poi, mediante una rilettura globale, avremmo potuto (come ora sareste in grado di fare anche voi se non vi foste creati una marea di pregiudizi) portare il singolo nel complessivo e il complessivo nel singolo, nella possibilità di fare quindi una “sintesi” intesa in senso hegeliano (ovvero come “togliere e conservare”) tra il complesso della saga e i singoli capitoli che la formano.

Perché sì, signore e signori - e qui giustamente semplifico ed esemplifico il concetto per chi non ha conoscenze filosofiche -, i singoli capitoli influenzano una parte di storia, ma quest’ultima pesa a sua volta sui singoli capitoli in un’armonia che solamente un’opera (o in questo caso una saga) completa può dare. Non penso qualcuno abbia mai criticato “1984”, grande capolavoro di Orwell, perché il primo libro descrive il sistema politico presente e quindi in certi punti risulta “un po’ troppo descrittivo e lento”, o la Comedìa di Dante perché “ehi, ma i canti del Paradiso dall’X all’Y sono una palla, quell’Alighieri doveva fermarsi al Purgatorio, mannaggia a lui!” (vi immagino mentre fate un discorso del genere a scuola o in università - in quel caso spererei non ci siate arrivati, ma ne ho viste di tutte - con qualche professore; molto divertente, davvero).

Chiusa la parentesi pseudo-polemica (che comunque mi è stata utile per far capire un metodo di valutazione e analisi sensato dal mio punto di vista) dirigiamoci verso il discorso principale.

CHIAVE DI LETTURA
Come da titolo del focus on e da definizione di Oda (capitolo 801), Dressrosa è il luogo in cui l’amore, la passione e le “fate” la fanno da padroni: ci sono, sono reali, concreti, palpabili (principesse figlie di soldati ex teppisti “fuggono” dai loro doveri per stare con il padre, gli uomini forti e coraggiosi non si vergognano di piangere di gioia o di dolore e gli gnomi vivono pacificamente in sintonia con le persone). Peraltro, se ci fate caso - e qui apriamo una piccola parentesi (spero non diventi un altro paragrafo intero, anche se sono prolisso) -, nonostante sia simile, in quanto solo un termine (“giocattoli”) è diverso rispetto a quelli dati dal manga esattamente cento capitoli prima (capitolo 701), possiamo notare come la definizione riguardante l’isola sia proprio opposta a quella data all’approdo della ciurma di Cappello di Paglia; infatti all’epoca l’amore era falso, alterato dalla trappola oscura creata da Doflamingo tramite Sugar, la passione era rappresentata dall’accoltellamento ai danni degli uomini da parte delle donne gelose (ma anche dagli scontri al Colosseo) e i giocattoli beh, non c’è nemmeno bisogno di spiegare cosa rappresentassero.

Insomma, è curioso come una definizione quasi del tutto analoga a quella che ben descriveva il regno illusorio di Doflamingo possa allo stesso tempo categorizzare parzialmente quello sincero e pacifico di Re Riku.

Quella descritta dai tre suddetti vocaboli (amore, passione e “fate”), però, non è soltanto una realtà che ci troviamo di fronte pensando all’ambientazione dell’isola; è anche quello, certo, ma è soprattutto la meravigliosa verità di fronte a cui il fruitore è costretto a ritrovarsi leggendo la saga nella sua integrità: pensateci, come si possono parafrasare e riunire in un unico termine i tre con cui Oda ha voluto descrivere Dressrosa? Beh, non so voi, ma il primo e principale a cui penso io, che fa anche da chiave di lettura all’intera saga è “emozione”.


Dressrosa, signore e signori, è la saga che più di tutte all’interno dell’intera opera rappresenta e dà luce alla vasta gamma di sentimenti e sensazioni presenti nell’animo umano! Amore, odio, gioia, tristezza, dolore, commiserazione, disperazione, rabbia, terrore, amicizia, fiducia, speranza, orgoglio, nostalgia, perdono, rimorso, testardaggine, vergogna, sorpresa, disgusto, delusione, commozione... Pensateci, ci sono tutte! Fatevi venire in mente qualcosa di legato all’animo umano e in quest’ultima saga scritta da Oda sono certo lo troverete.

E’ un fattore incredibile che in ogni capitolo, in ogni tavola trasuda e viene percepito dal lettore, il quale si dovrà per forza immedesimare nel gran caos - anch’essa parola chiave, poiché rappresenta una sensazione costante in tutti e 100 i capitoli, ma ne riparleremo - di una saga che nella realtà dei fatti rappresenta lui stesso, il suo mondo interiore: chi non si è mai sentito come Bartolomeo di fronte al pubblico del Colosseo, davanti a un ammasso di lobotomizzati che giudicano senza sapere nulla e di cui non ci importa niente di niente? Chi non ha mai idolatrato, trasposto quasi a divinità qualcuno o qualcosa come ha fatto Bellamy, magari poi rendendosi conto di aver sbagliato e sentendosi un miserabile, un idiota? Chi non ha mai pensato, come Kyros prima di conoscere Riku e Scarlet, di vivere in un mondo costituito da esseri viscidi e meschini e tanto diversi da noi, in cui forse è meglio essere soltanto dimenticati da tutti? Chi, come Usopp, non si è mai sentito atterrito, angosciato dalla contrapposizione tra dovere morale e paura di non essere all’altezza di portarlo a termine, tra un eroe immaginario (Usoland), frutto di una fantasia in cui vorremmo essere, e la nostra persona, costretta ad affrontare la realtà pur con le sue debolezze? Chi, come Rebecca, non è mai stato di fronte a una situazione apparentemente ingestibile, davanti a cui non avrebbe voluto fare altro se non urlare, piangere e chiamare aiuto? Chi di noi può dire di non aver mai avuto una sorpresa grande, un momento di felicità unica e inaspettata come quella di Luffy nel rincontrare il suo fratellone? Chi non è mai stato colto dall’indecisione più totale, dalla sensazione di sbagliare in qualsiasi caso e di doversi affidare (anche) alla fortuna (più o meno indotta) come Fujitora? E oltre a questi si potrebbero fare mille altri esempi a Dressrosa, ce ne sono una marea, e forse è impossibile citarli tutti, anche perché probabilmente ognuno di noi ne potrebbe trovare alcuni particolari e conformi unicamente alla propria storia, alla propria esperienza e al proprio io.

La conseguenza diretta di tutto ciò è per i più sensibili un pianto misto di emozioni che percorre la gran parte dei capitoli, mentre per tutti sarà un viaggio pieno contemporaneamente di meraviglia e confusione all’interno dell’opera del maestro Oda ma soprattutto della propria interiorità.

MA NON SI PICCHIANO MAI?!
Seppur il lato emotivo sia chiave di lettura, caratteristica principale e più marcata di Dressrosa e in generale di ONE PIECE, la saga non ha naturalmente soltanto questo, che già sarebbe degno di nota, ma rappresenta il punto di svolta dell’intera storia, sia a livello narrativo ma anche e soprattutto di maturità; se già in precedenza, infatti, in seguito al timeskip avevamo potuto palesemente notare una profondità di temi e introspezione maggiore rispetto a prima, con Dressrosa l’asticella si alza ancora e ci si trasporta in un punto di non ritorno, in cui ciascun personaggio e ogni vicenda sono approfonditi e curati magistralmente nello sviluppo, dove le componenti invisibili e intangibili dell’opera (psicologia, emotività, tematiche...) cominciano a farla da vere padrone.

Per comprendere il discorso è sufficiente analizzare il lato che teoricamente dovrebbe essere più concreto del fumetto: i combattimenti.

Diciamoci la verità, quanti scontri paragonabili a quelli di Alabasta o Enies Lobby dal punto di vista delle “pure mazzate” avete visto a Dressrosa? Credo chiunque risponderebbe a questa domanda con un sonoro “nessuno!”, ed è la risposta esatta: gli uno contro uno di questa saga, forse ad eccezione della prima parte di Luffy vs Doflamingo (finché non finisce l’effetto del primo Gear 4, per intenderci), nella forma non sono all’altezza di uno Zoro vs Mr. 1 o di un Luffy vs Blueno, ma nel complesso sono nettamente superiori.

Può sembrare mi stia contraddicendo, ma non è così e mi spiego subito meglio: escludendo l’unicum Luffy vs Usopp, che per ovvie ragioni è del tutto particolare e irripetibile, la preparazione e la costruzione di un combattimento come quella vista per Kyros vs Diamante, così precisa e di una qualità tanto elevata, quando mai l’avevamo avuta nel manga? E uno scontro con l’intensità emotiva e il “contorno” di quello tra Pink e Franky? E un duello del tutto strategico di un combattente puro e “ignorante” come Zoro? E una sfida così importante per la macrostoria come quella tra Dofla e Luffy, la quale ha scosso per sempre l’equilibrio del manga?

Certo, il pubblico shonen medio sarà super incazzato con Oda perché “combattono poco” o “gli scontri fanno schifo”, ma dei lettori degni di questo nome saranno al contrario contenti, poiché la sostanza li colpisce più della forma.

LA CRESCITA DI EIICHIRO ODA
Se la componente battle è la più adatta da prendere come esempio per dimostrare la maggior maturità di un fumetto che pur già prima non è mai stato puramente per ragazzi - ad eccezione forse della prima macro-saga, quella dell’East Blue, in cui però già si intravedeva il percorso che il tutto avrebbe potuto intraprendere -, poiché è senza dubbio quella più evidente agli occhi del lettore, non è tuttavia il solo fattore a incidere sulla maggior profondità della storia e, anzi, non è sicuramente il più colpito da tale evoluzione narrativa.

Da quando abbiamo imparato a conoscere Oda e il suo potenziale capolavoro, infatti, se la storia, i misteri, le tematiche, le emozioni sono state raramente criticate, contemporaneamente c’è sempre stato un lato su cui non ci siamo risparmiati di rimproverare ONE PIECE o in cui almeno abbiamo notato delle mancanze, in parte fisiologiche (un’opera che si concentra su un’infinità di aspetti difficilmente può eccellere in tutto) e in parte imputabili all’autore: sto parlando della psicologia dei personaggi e del suo sviluppo.


Forza, avanti, vi sfido qui e ora, alzi la mano chi fino a Enies Lobby non ha - e lo sottolineo, con tutte le ragioni del mondo - lamentato o quantomeno constatato una mancanza di realismo, cambiamento e/o crescita nella quasi totalità dei personaggi creati dal sensei! Probabilmente siete molto pochi, e di questi sono convinto la maggior parte sia costituita da persone le quali hanno seguito il manga soltanto come passatempo, per trascorrere i momenti di noia tra una scazzottata, una risata e un pianto, approccio - e ci tengo a sottolineare anche questo - più che legittimo in quanto parliamo pur sempre di un’opera artistica a pubblicazione settimanale che ha nei suoi compiti principali proprio quello di svagare e intrattenere i fruitori.

È innegabile, ripeto, innegabile che da questo punto di vista ONE PIECE sia stato per lungo tempo deficitario, sia per esigenze diverse di storia e lettori (ricordo a tutti che stiamo parlando di un manga nato nel 1997, quando lo shonen era profondamente diverso da quello attuale, ma non voglio approfondire il discorso perché sarebbe lunghissimo e non è questo lo scopo dell’articolo), sia per, e non vedo per quale motivo non ammetterlo candidamente, un’iniziale mancanza di capacità e soprattutto esperienza di Oda.

Ma un difetto non deve necessariamente rimanere tale, no? E infatti con il proseguire dei capitoli, volume dopo volume l’autore è cresciuto insieme alla sua opera, processo di sviluppo che ha influenzato soprattutto l’introspezione e l’approfondimento psicologico dei personaggi (primari, secondari e minori) e che (almeno per ora) ha raggiunto l’apice del suo climax - indovinate un po’? - proprio con la saga di Dressosa.

Se nell’East Blue un Kuro, un Creek, ma anche lo stesso Crocodile ad Alabasta non avevano motivazioni o ne avevano di banalissime per comportarsi come facevano, o comunque non veniva mostrato un minimo di sviluppo e cambiamento interiore tra i vari stati in essere, nella saga di Dressrosa ci troviamo di fronte il “Demone Celeste”, re di Dressrosa, membro della Flotta dei Sette, ex Nobile Mondiale, punto di riferimento del sottobosco criminale, colui che apparentemente ha sotto scacco tutto e tutti nel mondo di ONE PIECE, Donquixote Doflamingo (e ho elencato i suoi ruoli non perché siano decisivi nel discorso che stiamo facendo, ma per rendere completo merito a un personaggio veramente stratosferico), ci viene messo davanti un villain sviluppato a 360 gradi, pienamente approfondito nel carattere, nei punti di forza e di debolezza, nei processi mentali ed emotivi con cui è arrivato a certe idee e conclusioni filosofiche, un personaggio talmente umano e realistico nei suoi atteggiamenti e nei pensieri da far pensare ai lettori: “Ma porco cane, se fossi stato io Doflamingo non mi sarei potuto comportare nello stesso modo? Non sarei forse giunto alle stesse conclusioni? E come diamine posso considerare cattivo o nel torto qualcuno che ha costruito una certa mentalità semplicemente basandosi su quanto esperito nella sua vita? Ma che cavolo, dal suo punto di vista Doflamingo... ha pienamente ragione!”

Io già vi vedo, però, dalle vostre comode sedie replicare con tono infastidito: “Ma Crocodile, così come succederà per Ener e Lucci, poi è stato tirato fuori nuovamente e avrà ancora un ruolo all’interno del manga! Non puoi paragonarlo a Doflamingo che presumibilmente è già stato sviscerato almeno al 90%!” E vi darei anche ragione, non fosse che (seppur non possa darlo per certo, poiché non ne avremo mai la controprova, ma ne sono convinto) Oda non ha deciso di non approfondire i suddetti villain poiché convinto di riportarli in auge in futuro, ma al contrario ha scelto di riproporli proprio perché l’opera stava prendendo una direzione diversa, più matura e introspettiva, e quindi anch’essi avevano bisogno di essere tirati a lucido e adattati al nuovo modus scribendi. Insomma, è avvenuto esattamente il processo inverso.

Non mi credete? Beh, ma allora perché Wiper, che è indubbiamente la proposizione pre-timeskip di Kyros, non ha minimamente la caratura introspettiva del suo successore? A Skypiea lo shandia non era altro che un simbolo assieme a Cricket dell’unione tra due popoli completamente diversi quattrocento anni dopo le vicende di Noland e Calgara, nonché espediente narrativo per far rivivere il fantastico flashback dei suddetti che poi avrebbe completato e innalzato l’intera saga, mentre Kyros è sì a sua volta personaggio emblema di qualcosa, nello specifico dell’oscuro dramma di Dressrosa e in generale di quella che possiamo a tutti gli effetti definire “damnatio memoriae”, ma allo stesso tempo è il padre di Rebecca, passato dall’essere un brutale assassino all’essere un genitore amorevole, dal voler essere dimenticato da tutti al voler essere amato da sua moglie e sua figlia. Kyros, dunque, non è soltanto la riproposizione post-timeskip di Wiper, ma è anche e soprattutto il suo completamento, la sua sublimazione.


Se non vi basta ancora ci sono altri due personaggi che assieme ai precedenti (soprattutto Doflamingo) fanno capire quanto tra le principali caratteristiche di Dressrosa vi sia proprio l’eccellente introspezione psicologica, i quali peraltro sono (in)spiegabilmente incompresi da gran parte dei lettori. Utilizzo “(in)spiegabilmente” scritto in questo modo poiché in realtà la soluzione è molto facile; semplicemente molto spesso ciò che è fatto meglio è anche più dibattuto e pesantemente criticato poiché la sua complessità lo rende difficilmente accessibile al lettore medio e di conseguenza malvisto da quest’ultimo. Tuttavia, nonostante sarebbero esempi chiarificatori non mi dilungherò oltre nella trattazione - che si sta già facendo fin troppo corposa - ma li citerò soltanto in quanto estremamente meritevoli, rimandandovi per maggiori dettagli ad argomentazioni già piuttosto complete sui suddetti (ci sono stati diversi focus on fatti bene, quindi non posso citarli tutti; ne linko due ottimi random): sto parlando di Fujitora e di Bellamy.

Menzione d’onore, infine, per il rapporto Rebecca-Kyros, a mio avviso la cosa più bella e meglio strutturata vista a Dressrosa.

UNA PARTITA DI AULIN AL REPARTO DRESSROSA!
Come già accennato nel secondo paragrafo l’ambientazione di Dressrosa è - come anche le altre prima di lei - caratterizzata da una sensazione predominante che in questo caso è identificabile con il termine caos. Se Impel Down dava l’idea di asfissia, Skypiea di avventura, Alabasta di arsura, Thriller Bark di tensione... allo stesso modo Dressrosa ha come elemento peculiare quello della confusione, che si manifesta visibilmente fin dal principio per poi protrarsi nel corso dell’intera saga.

Già dall’inizio veniamo posti di fronte a un’isola poco spaziosa in cui sono racchiuse tantissime persone, a donne che accoltellano per gelosia, a giocattoli viventi, a fate che rubano oggetti alle persone, a un Colosseo in cui una moltitudine di guerrieri rischia la vita, a una spensieratezza di fondo in netto contrasto con la situazione globale (ricordo che a quei tempi secondo noi Doflamingo aveva appena lasciato la Flotta dei Sette e quindi il trono).
Si può quindi sicuramente parlare di caos geografico.

Contemporaneamente ci troviamo incalzati da un ritmo narrativo elevatissimo (non a caso considerando divise Water 7 ed Enies Lobby nonostante sia la più lunga delle saghe importanti Dressrosa è anche la più veloce da leggere), con eventi che si susseguono in rapidissima successione; basti pensare che in appena cinque capitoli si arriva alla sconfitta di Maynard causata da Bartolomeo, passando per l’introduzione di Fujitora, la presentazione delle fate, l’incontro tra Sanji e Violet, la scoperta della presenza del mera mera, la spiegazione di Rebecca su Kyros, la conclusione del blocco A, l’arrivo di Jora sulla Sanny eccetera.
Insomma, una serie di eventi proposti in successione con una velocità incredibile, ovvero un caos narrativo.


Come se non bastasse la stessa sensazione (e ciò è stato anche criticato da alcuni) di confusione si può riscontrare nel disegno, nelle singole tavole piene di personaggi, edifici, oggetti e ricche di dettagli da far venire il mal di testa.
Senza dubbio un caos grafico.

Ma qui non si sta parlando un disordine momentaneo, episodico, ristretto solo ad alcune vignette o capitoli, no; è un qualcosa di continuo che non lascia spazio a pause, è presente nell’introduzione dell’isola, nei flashback, nei combattimenti al Colosseo, nei duelli uno contro uno, nell’assalto al palazzo di Mingo... accentuato poi ulteriormente dal restringimento della gabbia per uccelli. Si tratta di una confusione che addirittura non si ferma dopo la caduta del villain, ma prosegue imperterrita, basti pensare a quanto accade il giorno della partenza dall’isola (Luffy aiuta Rebecca a ricongiungersi con Kyros, Law discute con Sengoku, Fujitora si mette in moto e si scontra con “Cappello di Paglia”, si crea il sistema di alleanze, una flotta enorme cerca di attaccare i Mugiwara...).

Insomma, stiamo parlando di un caos che Oda ha creato e mantenuto per cento capitoli scientemente, volutamente, non per pura casualità come alcuni pensano. Certo, può piacere o non piacere (e “no è problema mio”), ma come ho specificato inizialmente questo focus on vuole essere obiettivo, non soggettivo, di conseguenza devo attenermi a un giudizio super partes e per forza di cose asserire che l’intento è stato portato a termine in modo eccellente. Non c’è via di scampo, anche dal punto di vista dell’ambientazione in senso lato Dressrosa è precisa e ineccepibile.

UN MOTO INARRESTABILE
Ormai abbiamo già disquisito abbondantemente (o per meglio dire, vi ho abbastanza stracciato i maroni) della saga in sé e per sé, ma se ancora vi ricordate quanto scritto nel primo paragrafo sapete già come la penso sul considerare soltanto singolarmente un elemento calato in un contesto globale. Esatto! Non possiamo fare un focus su Dressrosa o su qualsiasi altra saga prescindendo la trattazione di quest’ultima all’interno dell’opera che la ospita, per quanto in se stessa possa già essere più o meno compiuta.

Tranquilli, come ho fatto finora non entrerò in dettagli, già moltissima gente si è spesa e si spenderà per ricollegare gli avvenimenti di Dressrosa a ONE PIECE e viceversa, quindi mi sembra inutile focalizzarmi troppo su un discorso tanto quotato da pagine facebook, blog, canali youtube e affini.

L’unica cosa che mi preme farvi capire è che si sta parlando di una saga fondamentale nella macrostoria di ONE PIECE, una parte di narrazione che sconvolgerà l’assetto delle tre grandi forze e in tutta probabilità porterà il manga a incanalarsi nei suoi atti conclusivi, un tratto di opera il quale demarca una linea di confine tra un mondo di sottile equilibrio e uno di totale contrasto.

Signore e signori, con Dressrosa si sono messi in moto degli ingranaggi pericolosi, qualcosa che forse era meglio non toccare, qualcosa che porterà la “Generazione Peggiore”, la Flotta dei Sette, il Governo, la Marina, i Rivoluzionari e gli Imperatori alla battaglia finale, a una guerra senza precedenti. Ma per maggiori chiarimenti vi rimando al discorso di Doflamingo nel capitolo 801.

“IO CREDO NELLE FATE”
In tutto questo c’è ancora un’ultima cosa che ho lasciato in sospeso e di cui mi preme trattare (poi prometto che la smetto e forse non sentirete più parlare di me): perché nel paragrafo “chiave di lettura” a unire i tre termini “amore”, “passione” e “fate” è proprio la parola “emozione”? Ma soprattutto... ci azzecca davvero?

Ora, i collegamenti con amore e passione credo siano lampanti, non servono grandi spiegazioni; semplicemente il primo viene considerato il sentimento più potente dell’animo umano e la seconda ha una marea di significati tutti riconducibili (nell’accezione comune è un sentimento intenso e/o violento) al “termine padre”. E il terzo? Beh, forse è quello un po’ meno immediato, ma a dire il vero neanche tanto, basta rifletterci un attimo: le fate sono creature tipiche e presenti prevalentemente nelle fiabe, nei mondi fantastici che emozionano e trasportano i bambini. E sarà paradossale ma probabilmente è proprio questo il termine che più di tutti si adatta a quello da me trovato e mi ha spinto a sceglierlo, poiché dà un’indicazione che una persona deve avere ben presente quando si rapporta a Dressrosa soprattutto, ma a dire il vero anche all’intero fumetto e a qualsiasi altra opera: signore e signori, quando si ha a che fare con l’arte il termine da tenere sempre ben presente, stampato nella mente è “movere”, un verbo latino che tra i diversi significati ha quelli di “commuovere, intenerire, turbare, impressionare”.


Di fronte a un’opera d’arte quale è ONE PIECE l’atteggiamento deve essere in primis quello di un bambino a cui viene narrato per la prima volta delle fate, bisogna mantenere la capacità di meravigliarsi, di immedesimarsi, di emozionarsi e di non prendere tutto come fosse e dovesse essere scientifico, matematico, perfettamente razionale, preciso e coerente; se non altro perché comportandosi in quel modo spesso si incorre nell’errore opposto, quello di rinchiudere in un quadrato di logica certe cose (ed essere inquadrati è quasi sempre un errore) per cui il mero raziocinio sarebbe limitante (e mi riferisco soprattutto alla psicologia dei personaggi, che non può e non deve essere sempre lineare, coerente e perfettamente logica).

Certo, questo non significa dover esagerare dall’altra parte e accettare tutto di sana pianta a patto “muova”, la coerenza narrativa deve esserci e ci mancherebbe il contrario, tuttavia se c’è una qualche piccola forzatura si può anche decidere di lasciar correre, finché la profondità del “non visibile” viene mantenuta a livelli tanto alti.
Accettate e valutate un consiglio, cercate di non leggere ONE PIECE come se foste donne che accoltellano per gelosia, come i dressrosiani ingannati dall’oscura maledizione dei giocattoli, fatelo come un uomo in grado di piangere di fronte al dramma o alla gioia di una bella sorpresa, come chi crede nelle fate, le accetta e ci convive pacificamente.

Insomma, a volte siate un po’ più Tontatta, che magari il manga ve lo godete meglio!

10 commenti:

  1. Giu' il cappello (di paglia), chapeau!

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  2. DOOOOON!
    Ottimo, ottimo articolo. Bravo Mister D!

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  3. Bello bello, complimenti! Soprattutto la riflessione su Doflamingo e la psicologia dei personaggi

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  4. Complimenti a Mister D per la bellissima riflessione. Un ottimo focus-on. Lungo, ma allo stesso tempo scritto in maniera egregia e la cui lettura non mi è pesata affatto. Prima o poi anche io mi rileggeró tutta Dressrosa e allora terrò a mente queste parole, così da dare un senso all'intera saga ed avere una visione d'insieme più chiara.

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    1. Sono molto contento di essere riuscito a far riflettere un minimo qualcuno sulla prospettiva di lettura. L'intento principale dell'articolo è proprio far capire che a volte siamo tanto superficiali da fermarci a guardare solo ciò che abbiamo davanti e non i livelli di lettura un po' meno immediati e contemporaneamente a giudicare freddamente senza più emozionarci di fronte a un'opera che fa del lato sensibile il suo cavallo di battaglia.

      Sulla lunghezza mi dispiace (anche a me spaventa, poiché diminuisce la possibilità di diffusione. In pochi nella "community" leggono articoli corposi), più di così non sono riuscito a riassumere, ma era molto difficile, sono anche rimasto molto nel generico al massimo portando qualche esempio.
      Se ci pensi in un intero articolo su Dressrosa ho citato Trafalgar D. Water Law una sola volta e mai Donquijote Rocinante e Homing. Mi fa piacere risulti comunque scorrevole.

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  5. Bellissima riflessione di Mister D.
    E' stato superbo

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  6. Sono contento che l'articolo sia arrivato e piaciuto almeno a qualcuno. Ringrazio per i complimenti.

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